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Il feticcio linguistico nella comunicazione pubblicitaria, il caso della lingua inglese

 
     
 

Paolo Lantieri, docente di inglese specialistico

 
     
 
 
 

 

      Da un punto di vista etimologico, il sostantivo ‘feticcio’ deriva dal francese fétiche, a sua volta dal portoghese feitiço, dal latino facticius, ‘idolo falso’. Il termine, nella sua versione latina, è stato impiegato per la prima volta dallo scrittore latino e senatore romano Plinio (I-II sec. d.C.) per riferirsi a entità intrinsecamente astratte, quindi diverse dagli elementi della natura che potevano assumere un valore simbolico, idolatrico, più nello specifico riguardo ai “fiori di loto”, simbolo dell’antico Egitto, ai tempi del faraone Ramsete II.
      Con riferimento al mondo accademico, anche il noto semiologo Umberto Eco ha parlato di ‘feticcio’ per riferirsi a quei termini o concetti specifici di una disciplina, che la linguistica definisce ‘tecnicismi specifici’, i quali oltrepassano, in qualche modo, i loro rigorosi confini semantici originari o linguistico-territoriali e finiscono con l’assumere molteplici significati in base al contesto a cui si riferiscono. Nella lingua italiana, è il caso del termine ‘confusione’, che viene adoperato in vari contesti giuridici nell’accezione di ‘riunione, fusione’ senza la connotazione negativa di ‘disordine, scompiglio’ propria della lingua corrente.
      Nel linguaggio pubblicitario, quando si utilizza un linguistic fetish approach, ‘approccio legato al feticcio linguistico’, la lingua (nel nostro caso l’inglese) del country of origin, ‘paese d’origine’, è lasciata in originale per scopi meramente commerciali, funzionali ovvero l’acquisto del prodotto o del servizio in questione da parte di potential oppure existing customer. Il country of origin, nella terminologia pubblicitaria, può essere definito come ‘il paese che il consumatore associa a un certo brand’, senza tener conto del luogo dove in realtà viene prodotta la merce. Rientrano in questa schiera per lo più quei prodotti tecnici e scientifici realizzati nei paesi di lingua inglese e non, perché associati all’effetto ‘domino’ sul mercato hi-tech dei colossi nordamericani come Microsoft, Ibm o Intel.
      Non meno rilevanti sono le considerazioni che possono essere fatte rispetto all’area britannica: ne è la prova un advertisement sulla rivista inglese “Advertising Age International”, in cui l’azienda svizzera produttrice di orologi Raymond Weil fa comparire sotto il nome del brand la scritta “Genève” in francese, invece di “Geneva” in inglese, con il preciso scopo di dare lustro alla competenza delle casa produttrice elvetica nel campo della fabbricazione di orologi.
      Ciò che appare evidente, da una disamina degli advertisement più disparati di lingua inglese su quotidiani e riviste, è il fatto che il linguistic fetish approach può essere esteso all’intera gamma di prodotti e servizi di tutte le company che, in quanto tali, hanno come obiettivo comune il raggiungimento di un profit.
      Un chiaro riferimento alla portata di tutti è fare acquisti presso i noti magazzini Ikea, brand ideato per esaltare ‘l’identità svedese’ nella produzione di mobili di qualità a prezzi competitivi. I nomi svedesi dei prodotti in esposizione mettono in rilievo il fatto che sono stati ideati da designer di mobili europei. Nei centri Ikea, le indicazioni bilingue sui prodotti e i loro nomi svedesi aggiungono autenticità e credibilità ai mobili in esposizione. I vocaboli svedesi utilizzati nel menu del ristorante all’interno dei punti vendita, inoltre, non hanno lo scopo di mettere in risalto alcuna competenza svedese nel campo della buona cucina, viceversa, i nomi che fanno pensare a cibi sani e nutrienti rafforzano la solidità, la semplicità e l’identità svedese dei mobili.
      Il linguistic fetish approach può essere anche usato dalle nazioni che cercano di distaccarsi dalla propria area di competenza e, per ottenere credibilità, ricorrono a un paese vicino, esperto in quel settore. Dunque, tale approccio può manifestarsi in diversi momenti del discorso pubblicitario: a un’estremità del continuum ci sono i testi in cui solo il nome del luogo o del prodotto è lasciato in originale, mentre il resto del testo è tradotto e localizzato; all’altra estremità intere frasi, la maggior parte del testo o addirittura l’intero testo solo in lingua straniera. In tutti i casi, le scelte linguistiche sono simboliche, nel senso che hanno l’obiettivo di costruire l’identità del prodotto, del produttore o del brand e del consumatore, piuttosto che comunicare fatti. Ci sono, tuttavia, ambiti dell’advertising in cui il linguistic fetish non compare affatto; è il caso dei settori relativi alle attività bancarie e quelle assicurative. Il simbolismo, infatti, non trova spazio nel mondo della finanza e delle assicurazioni, poiché ‘l’identità straniera’ non può essere ricondotta a un’immagine che rafforzi il senso di affidabilità e sicurezza.
      Il motivo principale che porta il caso dell’inglese ad assumere una globalized dimension, ‘dimensione globalizzata’, nella comunicazione pubblicitaria sta nel fatto che tale lingua ha un significato, un uso, un valore, perlopiù indipendenti dai paesi in cui è parlata. Inoltre, il suo utilizzo nel multilingual advertisement, ‘pubblicità multilingue’, molto spesso non è motivato da un desiderio di riferirsi a caratteristiche stereotipate dei paesi a cui la lingua è associata. Questo la rende, pertanto, un caso molto differente da tutti gli altri.
      Lo scambio tra differenti lingue o dialetti è stato a lungo analizzato e studiato dai sociolinguisti, che lo hanno denominato code-switching, quale termine linguistico indicante ‘il passaggio da una lingua a un’altra o da un dialetto a una lingua e viceversa, da parte di parlanti che hanno più di una lingua in comune’. La commutazione del codice si realizza sempre nell’ambito di uno stesso discorso e può riguardare solo poche frasi o addirittura una singola frase. Questo fenomeno si verifica prevalentemente nelle comunità o famiglie bilingue. L’uso dell’inglese in una pubblicità, che è in un’altra lingua o rivolta a consumatori che parlano un’altra lingua, può essere motivato soprattutto da questo genere di considerazione. Nel caso specifico di pubblicità di prodotti tecnologici, la leadership dell’inglese in molti campi tecnici e scientifici lo ha portato a essere utilizzato in diverse aree di questo settore pubblicitario perché, mentalmente, si tende ad associarlo a valori di reliability, technological complexity ed expensiveness.
      Gli scambi di codice che si realizzano all’interno dei testi pubblicitari possono anche essere incentivati dal desiderio di affermare o assumere un’identità etnica o regionale, e questo è noto come tag or emblematic switching, letteralmente ‘cambiamento simbolico o di frase’. In un caso del genere, chi parla non deve conoscere bene la lingua in questione, in quanto i pochi termini in inglese utilizzati nel testo pubblicitario sono tendenzialmente di facile comprensione ed esprimenti soprattutto valori di libertà, internazionalismo, occidentalismo e americanismo. È noto che gli Stati Uniti rimangono i principali produttori e consumatori di pubblicità.
      Analogo al tag or emblematic switching è il concetto di crossing, ‘attraversamento’; in questo caso, il passaggio da un codice a un altro può anche avere la funzione di linea guida del discorso, seguendo l’inizio di una citazione in una lingua differente. Lo scambio emotivo è di particolare interesse nel contesto di testi pubblicitari multilingue, poiché il cambiamento di codice è utilizzato principalmente per creare un effetto comunicativo, per scopi paralinguistici, piuttosto che per trasferire da una lingua all’altra un significato referenziale. Inoltre, il code-switching, ‘cambiamento di codice’,può essere utilizzato per creare un effetto drammatico o apportare una variazione al testo, usando gli elementi in comune di entrambi i codici fino a produrre, in alcuni casi, un effetto ironico o provocatorio.
      Chi si occupa di comunicazione pubblicitaria o più in generale di traduzione si interfaccia spesso con termini che vengono definiti ‘stranieri’ o quanto meno percepiti come tali da chi legge il messaggio pubblicitario, in qualità di destinatario, pur essendo la categorizzazione e la definizione di una parola come straniera una pratica accettata e abituale tra i traduttori; pensiamo all’uso in italiano di anglicismi quali brand, coupon, feedback o lifestyle. Stabilire se un termine sia un prestito linguistico, un internazionalismo o un termine straniero ‘addomesticato’ dipende da molti fattori linguistici. Un rapido sguardo all’etimologia dei termini in qualsiasi dizionario è utile per ricordare quante parole inglesi derivino dal latino, dal greco e da altre lingue indoeuropee. L’uso, la forma scritta, la fonologia e altri elementi si combinano per rendere un termine più o meno straniero. Il grado di ‘tolleranza’ per le parole straniere e per i prestiti lessicali può variare molto non solo tra lingue differenti, ma anche tra diverse culture linguistiche ed epoche storiche. Le lingue si guadagnano anche la reputazione, meritatamente o no, di essere ‘aperte’ o ‘chiuse’ ai vocaboli stranieri. L’inglese, nello specifico, è considerato una lingua flessibile.
      Esiste, comunque, l’idea comune che i vocaboli stranieri conferiscano al testo un tono aristocratico e questa è un’opinione interessante, specialmente in relazione al mondo anglofono. L’uso di anglicismi nella pubblicità ha la capacità di creare élite, in-groups e out-groups, gruppi interni ed esterni alla pubblicità i quali contribuiscono, direttamente o indirettamente, a definire gli atteggiamenti della società nei confronti dell’inglese stesso, della diversità e del multilinguismo.

 

 

Glossario

 

Advertising: azione aziendale il cui scopo principale è quello di dare, ai clienti fidelizzati e non, una motivazione per l’acquisto del prodotto.


Advertisement: annuncio pubblicitario, inserzione. Sostantivo formato sul verbo to advertise, fare pubblicità, con l’aggiunta del suffisso –ment. La sua forma deriva dal francese advertiss, da cui anche il francese moderno advertissement, sviluppatosi dal romanzo advertire, ‘volgere verso, rivolgere l’attenzione, la mente’. Il verbo to advertise è attestato nella lingua inglese dal XV secolo con significato di ‘dare annuncio di’.


Brand: la marca, cioè il nome, il simbolo o segno grafico che identifica una linea di prodotti. Brand può essere anche usato per identificare direttamente una linea di prodotti, senza riferimento specifico alla marca o marchio che distingue questa linea.


Company: azienda o impresa costituita sotto forma di società.


Coupon: buono sconto per ricevere gratuitamente un qualche prodotto.


Designer: mediatore di forme e sintetizzatore dell’équipe di progettazione. Il designer nel suo lavoro agisce su tre livelli: nella “sfera tecnologica”, cioè nella progettazione vera e propria che comprende le tecnologie produttive, i materiali, i processi costruttivi e l’ingegnerizzazione del prodotto. Nella “sfera economica”, cioè nelle valutazioni di investimento e dei costi di produzione. Nella “sfera estetica”, ovvero nella definizione della forma vera e propria, intesa come compromesso piuttosto che pura espressione.


Existing customer: cliente fidelizzato di un’azienda.


Feedback: termine entrato nel linguaggio economico col significato di ‘retroazione’ per indicare un metodo di programmazione economica che consente di verificare e, se nel caso, correggere l'esattezza di un comportamento, attraverso lo studio delle sue manifestazioni.
Hi-tech: produzione ottenuta mediante i più moderni processi industriali.


Lifestyle: indica il tenore di vita cui si è abituato un singolo o una classe sociale. Lo stile di vita ha una notevole influenza sul comportamento del consumatore.


Potential customer: cliente di un’azienda che non è stato ancora fidelizzato e che rappresenta, pertanto, il target nell’azione di advertising.


Profit: in economia, ciò che resta all’imprenditore dopo che egli, con il ricavato della vendita del prodotto, ha pagato tutti i fattori della produzione che hanno contribuito alla realizzazione del prodotto.

 

 

 

Bibliografia

 

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Fitzgerald, J., Getting on in Business - Advertising and Promotion, Black Cat, 2001.

Ger, G., Belk, R.W., “I’d Like to Buy the World a Coke: Consumptionscapes of the ‘less affluent’ World” in Journal of Consumer Policy, n.19, 1999.

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Koranteg, J., “TV Goes Local” in Advertising Age International, 1st November, 1999.

Lupetti, F., Manfredini, G., (a cura di), Nuovo Dizionario illustrato della Pubblicità e Comunicazione, Lupetti, 2001.

Picchi, F., Economics & Business – Dizionario enciclopedico economico e commerciale, Zanichelli, 2006.

Scarpa, F., La traduzione specializzata, Hoepli, 2008.

Serianni, L., Italiani scritti, Il Mulino, 2003.

 

 

Sitografia

 

http://www.diogenemagazine.com
http://www.euronews.net/
http://www.ikea.com/gb/en/

 
     
 
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