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La traduzione giuridica: nozioni teoriche e strategie operative

 
     
 

Roberta Cavallo - Socio tirocinante ANITI

 
     
     
 

Il presente articolo si propone di tracciare un quadro relativo alle questioni di stretta pertinenza della linguistica giuridica e della traduzione in questo settore, e di sottolineare come la prima possa essere considerata propedeutica alla seconda, apportando un notevole contributo al suo buon svolgimento: il diritto ha un chiaro fondamento linguistico e si può affermare che è esso stesso un linguaggio [1], con i suoi significati, le sue precipue relazioni semantiche, sintattiche e pragmatiche.

Poiché non sussiste un’identità assoluta tra gli ordinamenti giuridici vigenti in diverse nazioni, la traduzione in questo particolare settore si configura come una vera e propria operazione di comparazione tra diversi sistemi normativi. In questo senso, data la duplicità dell’ordine di difficoltà della traduzione in campo giuridico, risulta necessario avvalersi di strumenti teorico-pratici ad hoc al fine di procedere a un’ottimale traduzione nella lingua di arrivo. Un valido strumento teorico è costituito proprio dalla linguistica giuridica che permette di scandagliare i tratti distintivi della lingua speciale di sua pertinenza, dei quali se ne citano qui soltanto alcuni, in quanto già in altra sede analizzati [2]: nominalizzazione, spersonalizzazione, uso del gerundio, della forma passiva, ovvero meccanismi finalizzati a conferire caratteri di generalità e astrattezza al testo normativo.

Essendo il testo un’unità classificabile a seconda delle proprie funzioni, dell’intenzione comunicativa dell’emittente e della situazione comunicativa di destinazione, la linguistica giuridica procede a classificare i testi normativi in base al loro grado di prescrittività, un carattere esplicitabile in una fase di approccio linguistico preliminare e che vincola il traduttore alla massima fedeltà al testo di partenza rispetto ad altri testi meno vincolanti. Come si potrà evincere dall’argomentazione snodata in seguito, la “massima fedeltà” al testo-sorgente non implica una pedissequa aderenza al suo contenuto, non sussistendo una piena identità tra i vari ordinamenti giuridici delle diverse nazioni, ma contempla la possibilità di avvalersi dello strumento traduttivo dell’equivalenza funzionale. La suddetta “fedeltà” al testo di partenza è dunque da intendersi come “fedeltà allo spirito” piuttosto che in senso meramente letterale, «riproducendo [nel TA] lo stesso ʻeffetto giuridicoʼ del TP [3]».

Dal punto di vista pratico, ovvero strettamente linguistico e traduttologico, la necessità di eseguire una preliminare operazione di comparazione tra diversi sistemi giuridici, al fine di individuare il termine-target che esprima un dato concetto, impone l’impiego di precise strategie traduttive che tengano nella dovuta considerazione le finalità comunicative del testo di arrivo nell’ambito del suo contesto culturale e sociale. Benché alcuni giuristi assumano una posizione estrema ritenendo in linea di principio la traduzione giuridica di impossibile realizzazione, considerando ogni specifica manifestazione di diritto culture-bound e fortemente legata alla sua società di appartenenza, Federica Scarpa sottolinea al contrario che «l’intraducibilità non esiste nella traduzione specializzata» [4].

Come in precedenza anticipato, allo stato attuale la tendenza prevalente è quella di ricercare un’equivalenza funzionale, ovvero la massima corrispondenza possibile dal punto di vista semantico e socioculturale tra il testo originale e la traduzione, posti sullo stesso piano, tenendo al contempo in debita considerazione il fattore della situazione comunicativa di partenza e le aspettative dei destinatari [5]. Peraltro, il grado di equivalenza ottenibile è soltanto parziale, essendo la piena identità tra due termini afferenti a lingue diverse un caso piuttosto raro. Un esempio illustrativo dell’ordine di difficoltà lessicale all’interno della composita compagine del Legal English è dato dal termine Constitution, che differisce nei suoi significati nell’ambito dello stesso sistema di Common Law tra Stati Uniti e Regno Unito: negli Stati Uniti, il termine rimanda al documento scritto, la Legge fondamentale dello Stato, mentre nel Regno Unito, privo di Costituzione in senso formale, per concettualizzare tale termine si fa riferimento all’ordinamento giuridico nel suo complessoʼ.

Ancora, la diversa struttura governativa e rappresentativa dei due Stati si ripercuote sulla designazione di una medesima nozione in seno alla variegata compagine del Legal English: infatti, nel Regno Unito il “Pubblico Ministero” agisce in nome della Corona, essendo conseguentemente denominato Crown Prosecutor, laddove in American English si parla di Public Prosecutor.

In linea generale, non sussistendo una chiara corrispondenza tra i termini dei diversi linguaggi giuridici, a differenza di quanto accade con le scienze esatte dove i referenti sono universali, il traduttore può avvalersi di alcune precise strategie traduttive, tra le quali figura il prestito, ovvero l’integrazione nel testo di arrivo di un termine importato dalla lingua di partenza. Tra i vari esempi, è possibile citare il termine trust, che designa un istituto giuridico peculiare del sistema di Common Law, discendente dalla particolare concezione della proprietà in esso vigente, o ancora corporate governance, un sintagma nominale importato in italiano e che indica il complesso di norme che regola la gestione delle società quotate e i loro rapporti con il mercato borsistico; ancora, il termine deregulation, ovvero ‘delegificazione’, entrato nel nostro uso corrente, che rimanda a una nozione di diritto pubblico in quanto indica la progressiva soppressione delle norme imposte dai poteri pubblici in materia economica, demandata alla regolamentazione dei privati [6].

Anche il calco rappresenta una possibile soluzione, che contempla la traduzione letterale di un’intera parola o di un sintagma del testo di partenza traducendo, ad esempio, il ʻConsiglio Superiore della Magistraturaʼ con High Council of the Judiciary [7]; un altro caso di calco è dato da ‘brokeraggio’, riprodotto sull’inglese broker, che designa la figura del ‘mediatore’; il termine ‘brokeraggio’ può dunque riferirsi a un contratto di mediazione.

Nel novero delle possibilità traduttive figurano infine le già citate analogie e le equivalenze funzionali, ovvero «concetti e istituti diversi dal punto di vista lessicale, ma indicanti realtà analoghe a quelle presenti nel testo di partenza» [8]: è il caso di barrister che significa ʻavvocatoʼ. Un ulteriore esempio di equivalenza funzionale è costituito dall’espressione hot pursuit, la cui traduzione equivalente acclarata è ‘inseguimento in flagranza’, corrispondente a una nozione di diritto internazionale che regola, nella fattispecie, il diritto esercitato da uno Stato costiero di inseguire una nave straniera in mare aperto per un illecito commesso nelle proprie acque territoriali [9].

Analizzando le strategie sin qui elencate, ne deriva che le difficoltà poste dal testo giuridico inglese nella traduzione sono perlopiù di ordine lessicale e connesse alla natura non universale del referente.

Tuttavia, l’equivalenza traduttiva non è, in linea generale, un concetto assoluto e statico, ma assume i contorni di un’entità relativa e dinamica. Si può ricercare un’equivalenza a diversi livelli della lingua: semantico, morfo-sintattico, pragmatico, a seconda della tipologia testuale in fase di traduzione. In questo senso, l’analisi linguistica preliminare, volta a definire la categoria cui afferisce il testo originale, ha dirette ripercussioni sul livello di equivalenza da ricercare in traduzione: considerando il contributo di Luca Serianni, il quale evidenzia che il genere testuale dell’arringa giudiziaria rispecchia un approccio linguistico differente da quello estremamente razionale sotteso da un articolo di legge [10], inquadrando così l’arringa come un testo essenzialmente finalizzato alla persuasione dei destinatari, che si avvale di strumenti retorici volti a captare l’attenzione e, in ultima analisi, il convincimento dell’uditorio, possiamo concludere che il traduttore dovrà ricercare un’equivalenza al livello pragmatico della lingua, perseguendo in questo caso l’obiettivo di trasporre lo spirito e l’eloquenza del testo originale, e focalizzandosi, in particolare, sulla funzione conativa del messaggio.

Passando a tratteggiare per sommi capi le caratteristiche del linguaggio giuridico inglese, esso è caratterizzato da complessi legami morfo-sintattici, marcati da locuzioni prepositive come in accordance with, in pursuance of; frasi più lunghe rispetto allo standard; o ancora, ricorre alla nominalizzazione, ad avverbi e congiunzioni inconsueti: whereof, thereof; ridondanza [11]. Di conseguenza, il Legal English ha notoriamente prestato il fianco a varie critiche di oscurità e involuzione da parte del Plain Language Movement, dalle quali si è difeso in nome della necessità di veicolare la massima precisione, sgombrando il campo da ogni ambiguità.

In parallelo, considerando a fini di comparazione il campo lessicale italiano, è utile tenere conto di una particolare nozione linguistica introdotta da Luca Serianni [12] che ingloba i cosiddetti “tecnicismi specifici” e i “tecnicismi collaterali”, questi ultimi essendo espressioni composte da due o più parole ad alta frequenza d’uso; ne sono noti esempi: ‘impugnare una sentenza’, ‘stipulare un contratto’, ‘rigettare un ricorso’, ‘celebrare un processo’. La conoscenza dei tecnicismi collaterali nella lingua di arrivo può rappresentare un valido elemento di ausilio per il traduttore, posto così nella condizione di rendere il testo di partenza osservando le consuetudini comunicative del linguaggio settoriale di destinazione. I tecnicismi collaterali hanno in italiano una controparte nel linguaggio comune, ma sono caratterizzati da una certa fissità d’uso che ne marca la loro appartenenza al linguaggio settoriale.

I tecnicismi specifici sono privi di ambiguità, essendo utilizzati soltanto nella loro accezione tecnica: ‘abigeato’, in inglese reso con rustling; ‘contumacia’, ovvero absence oppure default; ‘incensurato’, un termine per il quale il Legal English prevede la più schietta locuzione without a criminal record.

Le consuetudini linguistiche, rappresentate nell’italiano settoriale dai tecnicismi collaterali, trovano riscontro in lingua inglese nella nozione di collocation, che indica un gruppo coeso di elementi verbali ad alta frequenza d’uso da parte dei parlanti nativi. Il fenomeno delle ‘collocazioni’ è diffuso in modo omogeneo tanto nel linguaggio comune quanto nei linguaggi settoriali. Un tipico esempio di collocation nell’ambito del Legal English è dato dalla traduzione inglese del termine italiano ‘lodo’, che indica nello specifico la decisione assunta nell’ambito di un procedimento arbitrale; a partire dal lemma arbitration, il Legal English costruisce le varie collocazioni: la lingua inglese, infatti, esprime il ‘lodo’ con il concetto di ‘sentenza arbitrale’, ovvero arbitral/arbitration award, o ancora ‘giudizio arbitrale’, segnatamente settlement/award by arbitration.

Tirando le fila del presente contributo, lungi da ogni pretesa di esaustività e completezza, si è inteso evidenziare lo stretto rapporto che intercorre tra l’approccio teorico e la prassi della traduzione giuridica, e come sia assolutamente essenziale un lavoro preliminare di analisi, che si avvalga degli strumenti offerti dalla linguistica giuridica, muovendo dal livello testuale. In questo modo, si è in grado di stabilire la categoria cui appartiene il testo in oggetto e le sue macro-caratteristiche, per adeguare opportunamente l’intervento traduttivo e addentrarsi nel livello lessicale, dove si estrinsecano le principali difficoltà, suscettibili, con buona approssimazione, di una “risoluzione” da parte del traduttore che operi in questo specifico settore, dominato da referenti e contesti mutevoli.

 

 

Bibliografia

Dizionario Giuri-Economico Italiano-Inglese online, Ed. Giuridiche Simone.

Cavagnoli, S., Ioriatti Ferrari, E., Tradurre il diritto, Cedam, 2009.

Del Giudice, F. (a cura di), Nuovo Dizionario Giuridico, Simone, 2008.

Distante, A., Il Legal English nella compagine dell’inglese per scopi speciali: spunti di comparazione su alcuni aspetti linguistici caratterizzanti, in ENGLISHfor, n. 0/07.

Monacelli C. (a cura di), Traduzione, Revisione e Localizzazione nel Terzo Millennio: da e verso l’inglese, FrancoAngeli, 2001.

Scarpa, F., La traduzione specializzata, Hoepli, 2001.

Serianni, L., Italiani scritti, Il Mulino, 2012.

 

 

Sitografia

http://www.englishfor.it/

http://www.iate.europa.eu

http://simone.it/

http://www.wordreference.com

 
     
 
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[1] Cavagnoli, S., Ioriatti Ferrari, E., Tradurre il diritto, Cedam, 2009, p. 167.

[2] Distante, A., Il Legal English nella compagine dell’inglese per scopi speciali: spunti di comparazione su alcuni aspetti linguistici caratterizzanti, in ENGLISHfor, n. 0/07, http://www.englishfor.it/rivista_articolo1_1_07.asp.

[3] Cavagnoli, S., Ioriatti Ferrari, E., op. cit., p. 221.

[4] Scarpa, F., La traduzione specializzata, Hoepli, 2001, p. 73.

[5] Ibidem, p. 75.

[6] Nuovo Dizionario Giuridico, a cura di F. Del Giudice, Simone, 2008.

[7] Monacelli, C. (a cura), Traduzione, Revisione e Localizzazione nel Terzo Millennio, FrancoAngeli, 2001, p. 54.

[8] Ibidem.

[9] Cfr. Dizionario Giuri-Economico Italiano-Inglese online, Ed. Giuridiche Simone, http://simone.it/newdiz/?id=800&dizionario=1&q=HOT+PURSUIT

[10] Serianni, L., Italiani scritti, Il Mulino, 2012, pp. 121-122.

[11] Monacelli, C. op. cit., p. 50.

[12] Serianni, L., op. cit., pp. 126-132.

 
 
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