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                    Il 
                    presente articolo si propone di tracciare un quadro relativo alle questioni di 
                    stretta pertinenza della linguistica giuridica e della traduzione in questo 
                    settore, e di sottolineare come la prima possa essere considerata propedeutica 
                    alla seconda, apportando un notevole contributo al suo buon svolgimento: il 
                    diritto ha un chiaro fondamento linguistico e si può affermare che è esso stesso 
                    un linguaggio [1], con i suoi significati, le sue precipue relazioni 
                    semantiche, sintattiche e pragmatiche. 
                 
                    Poiché non 
                    sussiste un’identità assoluta tra gli ordinamenti giuridici vigenti in diverse 
                    nazioni, la traduzione in questo particolare settore si configura come una vera 
                    e propria operazione di comparazione tra diversi sistemi normativi. In questo 
                    senso, data la
                    
                    duplicità dell’ordine di difficoltà della traduzione in campo giuridico, risulta 
                    necessario avvalersi di strumenti teorico-pratici
                    ad hoc al fine di procedere a 
                    un’ottimale traduzione nella lingua di arrivo. Un valido strumento teorico è 
                    costituito proprio dalla linguistica giuridica che permette di scandagliare i 
                    tratti distintivi della lingua speciale di sua pertinenza, dei quali se ne 
                    citano qui soltanto alcuni, in quanto già in altra sede analizzati [2]: nominalizzazione, spersonalizzazione, uso del gerundio, della forma passiva, 
                    ovvero meccanismi finalizzati a conferire caratteri di generalità e astrattezza 
                    al testo normativo. 
                 
                    Essendo il 
                    testo un’unità classificabile a seconda delle proprie funzioni, dell’intenzione 
                    comunicativa dell’emittente e della situazione comunicativa di destinazione, la 
                    linguistica giuridica procede a classificare i testi normativi in base al loro 
                    grado di prescrittività, un carattere esplicitabile in una fase di approccio 
                    linguistico preliminare e che vincola il traduttore alla massima fedeltà al 
                    testo di partenza rispetto ad altri testi meno vincolanti. Come si potrà 
                    evincere dall’argomentazione snodata in seguito, la “massima fedeltà” al 
                    testo-sorgente non implica una pedissequa aderenza al suo contenuto, non 
                    sussistendo una piena identità tra i vari ordinamenti giuridici delle diverse 
                    nazioni, ma contempla la possibilità di avvalersi dello strumento traduttivo 
                    dell’equivalenza funzionale. La suddetta “fedeltà” al testo di partenza è dunque 
                    da intendersi come “fedeltà allo spirito” piuttosto che in senso meramente 
                    letterale, «riproducendo [nel TA] lo stesso 
                    ʻeffetto giuridicoʼ del TP [3]». 
                    Dal punto 
                    di vista pratico, ovvero strettamente linguistico e traduttologico, la necessità 
                    di eseguire una preliminare operazione di comparazione tra diversi sistemi 
                    giuridici, al fine di individuare il termine-target che esprima un dato concetto, impone l’impiego di precise strategie traduttive 
                    che tengano nella dovuta considerazione le finalità comunicative del testo di 
                    arrivo nell’ambito del suo contesto culturale e sociale. Benché alcuni giuristi 
                    assumano una posizione estrema ritenendo in linea di principio la traduzione 
                    giuridica di impossibile realizzazione, considerando ogni specifica 
                    manifestazione di diritto culture-bound 
                    e fortemente legata alla sua società di appartenenza, Federica Scarpa sottolinea 
                    al contrario che «l’intraducibilità non esiste nella traduzione specializzata» [4]. 
                    Come in 
                    precedenza anticipato, allo stato attuale la tendenza prevalente è quella di 
                    ricercare un’equivalenza funzionale, ovvero la massima corrispondenza possibile 
                    dal punto di vista semantico e socioculturale tra il testo originale e la 
                    traduzione, posti sullo stesso piano, tenendo al contempo in debita 
                    considerazione il fattore della situazione comunicativa di partenza e le 
                    aspettative dei destinatari [5]. Peraltro, il grado di 
                    equivalenza ottenibile è soltanto parziale, essendo la piena identità tra due 
                    termini afferenti a lingue diverse un caso piuttosto raro. Un esempio 
                    illustrativo dell’ordine di difficoltà lessicale all’interno della composita 
                    compagine del
                    Legal English è dato dal termine
                    Constitution, che differisce nei suoi 
                    significati nell’ambito dello stesso sistema di
                    Common Law tra Stati Uniti e Regno Unito: negli Stati Uniti, il termine rimanda al 
                    documento scritto, la Legge fondamentale dello Stato, mentre nel Regno Unito, 
                    privo di Costituzione in senso formale, per concettualizzare tale termine si fa 
                    riferimento all’ordinamento giuridico nel suo complessoʼ. 
                 
                    Ancora, la 
                    diversa struttura governativa e rappresentativa dei due Stati si ripercuote 
                    sulla designazione di una medesima nozione in seno alla variegata compagine del
                    Legal English: infatti, nel Regno 
                    Unito il “Pubblico Ministero” agisce in nome della Corona, essendo 
                    conseguentemente denominato Crown 
                    Prosecutor, laddove in American 
                    English si parla di Public Prosecutor. 
                    In linea 
                    generale, non sussistendo una chiara corrispondenza tra i termini dei diversi 
                    linguaggi giuridici, a differenza di quanto accade con le scienze esatte dove i 
                    referenti sono universali, il traduttore può avvalersi di alcune precise 
                    strategie traduttive, tra le quali figura il prestito, ovvero l’integrazione nel 
                    testo di arrivo di un termine importato dalla lingua di partenza. Tra i vari 
                    esempi, è possibile citare il termine 
                    trust, che designa un istituto giuridico peculiare del sistema di
                    Common Law, discendente dalla particolare concezione della proprietà in esso vigente, o 
                    ancora corporate governance, un 
                    sintagma nominale importato in italiano e che indica il complesso di norme che 
                    regola la gestione delle società quotate e i loro rapporti con il mercato 
                    borsistico; ancora, il termine deregulation, ovvero ‘delegificazione’, entrato nel nostro uso corrente, che rimanda a 
                    una nozione di diritto pubblico in quanto indica la progressiva soppressione 
                    delle norme imposte dai poteri pubblici in materia economica, demandata alla 
                    regolamentazione dei privati [6]. 
                    Anche il 
                    calco rappresenta una possibile soluzione, che contempla la traduzione letterale 
                    di un’intera parola o di un sintagma del testo di partenza traducendo, ad 
                    esempio, il 
                    ʻConsiglio Superiore della 
                    Magistraturaʼ con
                    High Council of the Judiciary [7]; 
                    un altro caso di calco è dato da ‘brokeraggio’, riprodotto sull’inglese broker, che designa la figura del ‘mediatore’; 
                    il termine ‘brokeraggio’ può dunque riferirsi a un contratto di mediazione. 
                 
                    Nel novero 
                    delle possibilità traduttive figurano infine le già citate analogie e le 
                    equivalenze funzionali, ovvero «concetti e istituti diversi dal punto di vista 
                    lessicale, ma indicanti realtà analoghe a quelle presenti nel testo di partenza» [8]: 
                    è il caso di 
                    barrister che significa 
                    ʻavvocatoʼ. Un ulteriore esempio di 
                    equivalenza funzionale è costituito dall’espressione
                    hot pursuit, la cui traduzione 
                    equivalente acclarata è ‘inseguimento in flagranza’, corrispondente a una 
                    nozione di diritto internazionale che regola, nella fattispecie, il diritto 
                    esercitato da uno Stato costiero di inseguire una nave straniera in mare aperto 
                    per un illecito commesso nelle proprie acque territoriali [9]. 
                    
                    Analizzando le strategie sin qui elencate, ne deriva che le difficoltà poste dal 
                    testo giuridico inglese nella traduzione sono perlopiù di ordine lessicale e 
                    connesse alla natura non universale del referente. 
                 
                    Tuttavia, 
                    l’equivalenza traduttiva non è, in linea generale, un concetto assoluto e 
                    statico, ma assume i contorni di un’entità relativa e dinamica. Si può ricercare 
                    un’equivalenza a diversi livelli della lingua: semantico, morfo-sintattico, 
                    pragmatico, a seconda della tipologia testuale in fase di traduzione. In questo 
                    senso, l’analisi linguistica preliminare, volta a definire la categoria cui 
                    afferisce il testo originale, ha dirette ripercussioni sul livello di 
                    equivalenza da ricercare in traduzione: considerando il contributo di Luca 
                    Serianni, il quale evidenzia che il genere testuale dell’arringa giudiziaria 
                    rispecchia un approccio linguistico differente da quello estremamente razionale 
                    sotteso da un articolo di legge [10], inquadrando così l’arringa 
                    come un testo essenzialmente finalizzato alla persuasione dei destinatari, che 
                    si avvale di strumenti retorici volti a captare l’attenzione e, in ultima 
                    analisi, il convincimento dell’uditorio, possiamo concludere che il traduttore 
                    dovrà ricercare un’equivalenza al livello pragmatico della lingua, perseguendo 
                    in questo caso l’obiettivo di trasporre lo spirito e l’eloquenza del testo 
                    originale, e focalizzandosi, in particolare, sulla funzione conativa del 
                    messaggio. 
                    Passando a 
                    tratteggiare per sommi capi le caratteristiche del linguaggio giuridico inglese, 
                    esso è caratterizzato da complessi legami morfo-sintattici, marcati da locuzioni 
                    prepositive come in accordance with, in pursuance of; frasi più lunghe 
                    rispetto allo standard; o ancora, ricorre alla nominalizzazione, ad avverbi e 
                    congiunzioni inconsueti: whereof, thereof; ridondanza [11]. Di conseguenza, il
                    Legal
                    English ha notoriamente prestato il fianco a varie critiche di oscurità e involuzione da 
                    parte del Plain Language Movement, 
                    dalle quali si è difeso in nome della necessità di veicolare la massima 
                    precisione, sgombrando il campo da ogni ambiguità. 
                    In 
                    parallelo, considerando a fini di comparazione il campo lessicale italiano, è 
                    utile tenere conto di una particolare nozione linguistica introdotta da Luca 
                    Serianni [12] che ingloba i cosiddetti “tecnicismi specifici” e i 
                    “tecnicismi collaterali”, questi ultimi essendo espressioni composte da due o 
                    più parole ad alta frequenza d’uso; ne sono noti esempi: ‘impugnare una 
                    sentenza’, ‘stipulare un contratto’, ‘rigettare un ricorso’, ‘celebrare un 
                    processo’. La conoscenza dei tecnicismi collaterali nella lingua di arrivo può 
                    rappresentare un valido elemento di ausilio per il traduttore, posto così nella 
                    condizione di rendere il testo di partenza osservando le consuetudini 
                    comunicative del linguaggio settoriale di destinazione. I tecnicismi collaterali 
                    hanno in italiano una controparte nel linguaggio comune, ma sono caratterizzati 
                    da una certa fissità d’uso che ne marca la loro appartenenza al linguaggio 
                    settoriale. 
                    I 
                    tecnicismi specifici sono privi di ambiguità, essendo utilizzati soltanto nella 
                    loro accezione tecnica: ‘abigeato’, in inglese reso con
                    rustling; ‘contumacia’, ovvero absence oppure
                    default; ‘incensurato’, un termine per 
                    il quale il Legal English prevede la 
                    più schietta locuzione without a criminal 
                    record. 
                 
                    Le 
                    consuetudini linguistiche, rappresentate nell’italiano settoriale dai tecnicismi 
                    collaterali, trovano riscontro in lingua inglese nella nozione di
                    collocation, che indica un gruppo 
                    coeso di elementi verbali ad alta frequenza d’uso da parte dei parlanti nativi. 
                    Il fenomeno delle ‘collocazioni’ è diffuso in modo omogeneo tanto nel linguaggio 
                    comune quanto nei linguaggi settoriali. Un tipico esempio di
                    collocation nell’ambito del
                    Legal English è dato dalla traduzione 
                    inglese del termine italiano ‘lodo’, che indica nello specifico la decisione 
                    assunta nell’ambito di un procedimento arbitrale; a partire dal lemma
                    arbitration, il
                    Legal English costruisce le varie collocazioni: la lingua inglese, infatti, esprime il 
                    ‘lodo’ con il concetto di ‘sentenza arbitrale’, ovvero
                    arbitral/arbitration award, o ancora ‘giudizio arbitrale’, 
                    segnatamente settlement/award by 
                    arbitration. 
                    Tirando le 
                    fila del presente contributo, lungi da ogni pretesa di esaustività e 
                    completezza, si è inteso evidenziare lo stretto rapporto che intercorre tra 
                    l’approccio teorico e la prassi della traduzione giuridica, e come sia 
                    assolutamente essenziale un lavoro preliminare di analisi, che si avvalga degli 
                    strumenti offerti dalla linguistica giuridica, muovendo dal livello testuale. In 
                    questo modo, si è in grado di stabilire la categoria cui appartiene il testo in 
                    oggetto e le sue macro-caratteristiche, per adeguare opportunamente l’intervento 
                    traduttivo e addentrarsi nel livello lessicale, dove si estrinsecano le 
                    principali difficoltà, suscettibili, con buona approssimazione, di una 
                    “risoluzione” da parte del traduttore che operi in questo specifico settore, 
                    dominato da referenti e contesti mutevoli. 
                 
                      
                      
                    Bibliografia 
                    Dizionario Giuri-Economico 
                    Italiano-Inglese online, Ed. Giuridiche Simone. 
                 
                    Cavagnoli, S., Ioriatti 
                    Ferrari, E., Tradurre il diritto, 
                    Cedam, 2009. 
                    Del Giudice, F. (a cura 
                    di), Nuovo Dizionario Giuridico, Simone, 2008. 
                 
                    Distante, A.,
                    Il Legal English nella compagine 
                    dell’inglese per scopi speciali: spunti di comparazione su alcuni aspetti 
                    linguistici caratterizzanti, in ENGLISHfor, n. 0/07. 
                 
                    Monacelli C. (a cura di),
                    Traduzione, Revisione e Localizzazione nel 
                    Terzo Millennio: da e verso l’inglese, FrancoAngeli, 2001. 
                    
                 
                    Scarpa, F.,
                    La traduzione specializzata, Hoepli, 
                    2001. 
                 
                    Serianni, L.,
                    Italiani scritti, Il Mulino, 2012. 
                    
                 
                      
                      
                    Sitografia 
                    http://www.englishfor.it/ 
                    http://www.iate.europa.eu 
                    http://simone.it/ 
                    
                    http://www.wordreference.com |  |